
Il Cammino di Santiago
da laico

La posta in gioco.
Con un moto di spirito (non so quanto opportuno) potrei affermare che il dolore che prova chi si cimenti nel Camino, viene sublimato al raggiungimento della meta; e che ciascuno di noi, che abbiamo compiuto l'impresa, ricorda l'inenarrabile bellezza dell'esperienza umana perchè perde memoria della sofferenza,
I dolori muscolari, le vesciche ai piedi, le febbri e i dolori provocati dalla pioggia, dall'umidità, dalla fatica, dal tempo che sembra fermarsi nel momento dello sforzo e accelerare spasmodicamente in quello del riposo, tutto questo sembra perdere significato se non in qualche sbiadito ricordo collaterale, per lasciare spazio alla scena principale, il conseguimento dell'obiettivo, il raggiungimento della meta, quale che sia la motivazione che ha spinto a intraprendere questa strada.
Ed è così che riflettendo a qualche tempo di distanza, ci si rende conto che si è affrontato il dolore, quello vero, quello fisico e quello dello spirito e la domanda che si affaccia prorompente è "chi ce lo ha fatto fare".
La risposta più immediata e più banale potrebbe essere "la voglia di testare i propri limiti".
Non so quanto possa essere corretta questa risposta, ma so che la "mia" crisi profonda è arrivata quando ho raggiunto Leon, dopo ben 462 km. di percorrenza, gran parte dei quali nella pioggia e nel fango. Una crisi determinata dal dolore fisico alle gambe, alle giunture, alle spalle, alle mani, ai piedi martoriati, alla febbre; una crisi che avrebbe potuto facilmente portare verso l'aeroporto di quella città per tornarmene in Italia, a casa, stanco, sfinito, pieno di dolori e maledicendo questa balzana idea di volermi avventurare per un percorso non mio.
In quei momenti mi sono sentito perso, senza alcuna alternativa se non la rinuncia, tali e tanto forti erano i dolori del corpo e la rinuncia dava lenimento al fisico, ma uccideva con dolore altrettanto infinito lo spirito. Sono quelli i momenti in cui si cerca una mano tesa e a me ne sono capitate più di una, proprio nel momento in cui c'era più bisogno. La mano della Policia Nacional che mi ha portato all''Albergue in auto, nel momento in cui, complice lo stato di disagio determinato dalla febbre avevo perso la strada. Il personale dell'Albergue che mi ha offerto l'opportunità di trattenermi fin quando non mi fossi ristabilito per continuare e il telefono (siano benedetti Bell e Meucci) che mi ha offerto il conforto e l'incoraggiamento della famiglia.
Dopo 3 giorni ho ricominciato a camminare e i miei piedi hanno percorso i 300 e rotti km. che mi separavano dalla conclusione del Camino e li hanno percorsi con la determinazione necessaria a superare il dolore delle nuove vesciche, dell'indurimento muscolare, dell'acido lattico che rallentava e rendeva faticoso anche il più semplice dei movimenti.
Non so quanto la mia esperienza personale sia ampliabile e possa descrivere un senso comune, ma di certo chi si trovi a percorrere un tragitto così duro, deve mettere in preventivo momenti di debolezza che rischiano di evolvere in cedimento. La fatica e il dolore sono pessimi consiglieri.
Senza volere in alcun modo fare paragoni, rammento che anche il Cristo chiese al Padre perchè lo avesse abbandonato, provato com'era dalla fatica del Golgota e dai dolori della flagellazione.... certo la fatica e la sofferenza dell'Uomo non sono accostabili in nessun modo a quelle del pellegrino verso Santiago, ma sono una buona cartina di tornasole per capire quanto le sinergie fra queste due entità, possano portare squilibrio nella visione complessiva delle cose del mondo e dei propri orizzonti.
In fondo questa è la posta in gioco, capire che la fatica e il dolore vanno affrontati perchè fanno parte di noi e di quello che in quel momento stiamo vivendo. La posta in gioco non è la scoperta dei propri limiti, ma apprendere con l'esperienza le giuste modalità per convivere con sensazioni spiacevoli, talvolta al limite del sopportabile, che ci vengono messe di fronte in momenti in cui sia lo spirito che il corpo vengono, a qualunque titolo, sottoposti a stress inusuale.
Dopo tutto è un buon segno.
16 ottobre 2013