
Il Cammino di Santiago
da laico

La moda.
Può capitare di essere seduti al tavolo di un bar, a sorseggiare qualcosa con un amico, e dissertare sul perché e il per come ci si sia messi in testa una follia come questa di farsi il camino di Santiago.
Si sa che il tempo non torna e quello che è andato è andato, ma si sa anche che siamo arrivati all'età dei bilanci, quella in cui si stabilisce se la vita abbia o meno avuto un senso e se lo ha avuto quale sia stato e se è stato bene interpretato.
Per quanto mi riguarda, direi che la sensazione più presente e insistente è quella del non avere vissuto, schiacciato da un ingranaggio che, con metodicità feroce, ha accelerato in modo impressionante i secondi che componevano i nostri minuti, inducendoli a correre e passare ad alta velocità, lasciando il minor segno possibile.
Quindi la laicità del mio Camino, ispirata dall'accanita requisitoria contro lo Stato e la Chiesa, che Buñuel gettò nel tranquillo stagno della mia adolescenza, si arricchisce di un elemento che solo il tempo trascorso ci permette di apprezzare: la preziosità del tempo stesso nella nostra vita.
È la moda che spinge un crescente numero di persone comuni ad affrontare un percorso oltremodo impegnativo senza il miraggio della conquista dell'indulgenza?
Be' le mode sono fenomeni difficilmente decodificabili con occhi normali, sarei più propenso a semplificarla e vederla così: la vita di corsa che siamo stati costretti a vivere è un cappio al collo dell'esistenza e del sapore della vita. Chi non vuole più correre si mette a camminare e i passi diventano la scansione delle giornate e l'essere umano non è più soggetto al tempo che passa, ma è il tempo che deve organizzarsi per pulsare al ritmo dei passi e la meta diviene l'aspetto meno importante del progetto, lasciando improvvisamente spazio all'attività cerebrale.
Questa non è moda, è un tentativo, forse patetico, di riprendersi almeno un pezzo (quello finale) della propria esistenza.